Che
la moda non fosse solo abbinamento di colori e tessuti particolari l’avevo
capito già da un po’, ma che fosse un vero e proprio sistema, costituito da un
percorso particolare, dove ogni passo non viene fatto per caso e segue una
“disciplina” peculiare, non mi era altrettanto chiaro. Leggere “Le imprese del
sistema moda” (di Stefania Saviolo e Salvo Testa - Rizzoli Etas) mi ha svelato l’intero
percorso che si cela dietro la grande industria della moda.
Il libro non
tralascia neanche un dettaglio: dalla scelta della stoffa, alla scelta del
colore, dalle collezioni che vediamo sfilare nelle passerelle, alle campagne
pubblicitarie. Il libro chiarisce innanzitutto il significo della parola, spiegando
che è molto difficile darne un’interpretazione esauriente vista la vastità
degli argomenti che il termine racchiude. La moda è sicuramente un’usanza,
un’abitudine, un criterio che rappresenta un “orientamento individuale” che si
rapporta con l’intera società, ha assunto sempre di più una “dimensione
estetica” arrivando ad essere un modo per comunicare la propria personalità.
Quello che si evince subito dal libro è che una casa di moda per avere successo
deve fondere l’anima stilistica, quella più passionale, con l’anima razionale
delle logiche di mercato. Questa fusione è il frutto di una stretta
collaborazione tra lo stilista (il desiner) che esprime se stesso attraverso le
proprie creazioni stilistiche, e il manager che cerca di comprendere le logiche
di mercato e il modo migliore per lanciare una nuova collezione. Gestire la
creatività è una faccenda alquanto complicata ma necessaria, tant’è che il
libro dedica un intero capitolo all’argomento. È notevole quante personalità
importanti nella storia della moda, siano state affiancate da persone con un
animo più razionale, il cosiddetto “manager” (Yves Saint Laurent, Giorgio
Armani, Gianni Versace). Relazione fondamentale anche per sviluppare il
prodotto e lanciarlo sul mercato, dove si convergono le componenti estetiche
con quelle economiche e competitive. Le imprese di moda compiono una continua
ricerca in cui stagione per stagione si individuano gli elementi di novità e i
contenuti di rinnovamento, nel rispetto, però, “dell’identità stilistica
permanente”. Ma la ricerca deve portare anche all’equilibrio tra le due
componenti fondamentali del sistema: le scelte strategiche di posizionamento di
mercato con quelle stilistiche da una parte, e una continua evoluzione delle
proposte al consumatore finale dall’altra. Qualche difficoltà si è avuta con i
marchi che, dopo la morte dei fondatori, si sono avvalsi di direttori creativi,
con il compito di portare avanti l’immagine stilistica della griffe. Queste
persone, esterne alla famiglia, non sempre hanno saputo carpire lo stile di
base del marchio che rappresentano (si pensi a John Galliano quando ricopriva
il ruolo di direttore creativo per Dior). Il libro, inoltre, attraverso un
percorso storico, descrive la nascita dei brand più noti a livello globale, dal
jeans Levi’s (tessuto molto resistente di origine francese, orientato
inizialmente per la costruzione di tende durante la famosa “corsa dell’oro”),
allo sporty-chic di Nike.
La vera haute
couture nasce in Francia e veste le regnanti di tutta Europa e le dame
altolocate, mentre in Italia si sviluppa il “prêt-à-porter”, una moda più semplice seppur di ottima qualità, ma
specialmente più accessibile e che ricopre le varie fasce della popolazione.
Successivamente, questo nuovo concetto influenza anche il panorama americano e,
nella “swinging london”, con “la
rivoluzionaria minigonna di Mary Quant”, esplode l’abbigliamento informale
sposato ben presto dalle nuove generazioni. Intorno agli anni ’80 si consolida
quell’antagonismo tipico tra l’Italia e la Francia, che caratterizza i due
paesi su tutti i fronti, e in particolare le città Milano e Parigi per accaparrarsi
il ruolo di “capitale mondiale della moda”.
Una
voce di fatturato molto importante, nelle aziende, è quella della filiera.
L’individuazione dei tessuti e la loro acquisizione è una caratterista che gli
stilisti curano con molta attenzione, dal colore alle fibre, dal filato alla
trama grezza e via via le varie lavorazioni che portano alla creazione del
tessuto vero e proprio su cui poi lavorare, senza dimenticare la mano (la sensazione che la stoffa da
al tatto). Nel nostro paese ci sono delle industrie che si occupano solo di
questo e che forniscono le case di moda, ma non solo italiane. Il tessile
italiano, per la sua qualità e ricercatezza è molto amato dai tedeschi,
americani e, ebbene si, dai nostri “rivali” francesi, in particolar modo i grandi
marchi del lusso (Chanel, Christian Dior, Louis Vuitton), che hanno stipulato
dei contratti di licenza con le imprese tessili per sfruttarne al meglio i
vantaggi. Le risorse produttive italiane rappresentano un grande interesse per
i gruppo esteri, infatti non sono un caso le “guerre finanziarie” per accaparrarsi
le griffe italiane (una delle più celebri la joint venture tra il gruppo francese
LVMH e Prada per il controllo di Fendi). Bisogna poi distinguere i brand dalle
griffe, le maison dai marchi e l’haute couture dalle aziende low cost.
Importanti
nel settore sono sicuramente gli opinion leaders,
personaggi dotati di una certa influenza che percepiscono con anticipo certe
tendenze e riescono poi ad influenzare l’intera società, creando una vera e
propria “moda”, non a caso queste personalità
sono molto “corteggiate” dagli stilisti e dagli uffici stampa.
Tutto
questo dimostra che la Moda non è solo sapersi vestire all’ultimo grido, altrimenti non si spiegherebbe
come mai occupi la seconda voce dell’economia italiana (la prima è il turismo).
Vestirsi in un certo modo, piuttosto che un altro, fa emergere la nostra
personalità. Anche le persone più trasandate mostrano, con il modo di vestirsi,
una parte del loro carattere. In un mondo sempre più concentrato sull’apparenza
e sull’immagine, un abbigliamento corretto all’occasione è sempre più richiesto
e averlo comporta un continuo investimento in questo settore. Va da se che
questa usanza ha costituito, nel corso degli anni, l’impero colossale della moda. Anche i capi
acquistati nei mercatini o sulla strada spesso provengono da un’imitazione
delle collezioni, frutto di una grande ricerca. Perché può essere anche vero
che l’apparenza sia diversa dalla realtà, ma l’abito fa sicuramente il monaco,
eccome se lo fa!
fermarti sarà impresa assai difficile ,,,,,,,,,ma sono sicurissimo che arriverai al tuo obbiettivo e alla meta che ti sei prefissata,, ma tuuto ti e più semplice perchè e il tuo mondo quello che vivi giornalmente......iggnn
RispondiEliminaDetto da te, che mi conosci bene, non può che farmi più che piacere..!
Eliminaconfermo quanto scritto ieri........... scrivere sulla moda è il tuo mestiere. Fai appassionare chi ti legge, si vede che è il tuo pane quotidiano dalla dedizione che ci metti. Bravaaaaaaaa!!!!!!!!
RispondiEliminac.b.
grazie!!!! grazie mille!! :)
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